Capitolo 3: Incendio

La Torino degli ultimi giorni è stata giungla e fiumi, nebbia e fuoco, deserti e fortezze. Ma è stata anche teatro e scacchiera, serate in nero e cantastorie in cravatta.

Sono successe talmente tante cose, talmente in fretta, che si fa fatica a ritrovare il filo. In breve sequenza, per chi avesse perso qualche passaggio:

Giovedì 7 Febbraio l’attacco all’asilo. Non è solo uno sgombero. Per le vie di barriera va in scena la caccia all’uomo, ci sono degli arresti, un pezzo di quartiere viene militarizzato. Tutti gli angoli presidiati, alcune strade vengono chiuse e le forze in campo per l’operazione vengono da tutto il Nord Italia.

La sera per le strade un primo corteo spontaneo prova a portare la sua rabbia nelle vie limitrofe all’Asilo, ma viene attaccato dalla polizia. Le notti si fanno corte per chi cerca comunque di salutare gli asserragliati sul tetto o sceglie di agire altrove.

Intanto, aprono i battenti del grande teatro mediatico (in qualche caso sembra più il Bar Sport). I politici gongolano e fanno il tifo, i giornali cantano gesta e dichiarazioni del Questore di Torino. Non è un’operazione di polizia, la città di Torino ha un ruolo solo marginale. Il questore viene investito generale, si occupa della gestione delle operazioni e di comunicare.

Venerdì sera 6 blindati girano per Lucento per scortare la propaganda di 8 fascisti. La Digos è attiva in tutta la città.

Sabato 9, quando i primi manifestanti in corteo da Piazza Castello si voltano indietro, superata piazza della Repubblica, vedono migliaia di persone. E’ un fiume quello che sta attraversando porta palazzo. 20 minuti dopo una barricata di cassonetti sta andando in fiamme al ponte Mosca, mentre una parte copiosa dei 400 lacrimogeni sparati durante le ore che seguono cade sul corteo sul lungo Dora. Gli scontri continuano per un paio d’ore.

Domenica a Lucento il quartiere è deserto, ma sono presenti circa 20 camionette per proteggere Casapound. I manifestanti deviano verso Le Vallette. Gli arrestati dei giorni precedenti sono una ventina.

Davanti al carcere esplode qualche fuoco d’ artificio, mentre la polizia fronteggia i manifestanti battendo con i manganelli sugli scudi.

Ad inizio settimana Barriera di Milano è ancora occupata da polizia e carabinieri.

Mercoledì alcuni manifestanti che si recavano verso un presidio davanti al comune vengono caricati ed identificati sul tram 4. C’è un fermo. La sera una centinaio di persone passeggia per le vie intorno a corso Giulio Cesare. I check point sono ancora attivi e la polizia occupa efficacemente gli incroci della zona.

“Adesso l’invito a prender la mira sul vero nemico”

La storia di questi giorni sono le testate giornalistiche che diventano l’ufficio stampa del generale di campo, la polizia che si fa forza di occupazione e che, se a tratti fa la scorta ai fascisti integralisti e folk, per il resto diventa braccio armato di uno Stato che mette in campo un fascismo pragmatico.

Di questi giorni, tanto si potrebbe dire sulla controparte. Molto più interessanti crediamo siano gli spunti di riflessione per noi e per chiunque abbia un’idea ci città diversa da quella che da anni, passo dopo passo, ed in questi giorni con forza, ci vogliono imporre.

Il caso Porta Palazzo-Aurora ha messo in luce più che mai, negli ultimi anni, cosa si muove in città. Per la maggior parte non si tratta di peculiarità di quei quartieri o di questa metropoli.

L’Asilo era scomodo, sono ormai noti a tutti l’importanza degli investimenti privati, Lavazza ed Holden in primis, negli sviluppi delle vicende di quel quartiere, nonché le pressioni del comune sulla rinascita in chiave turistica degli spazi del Balon.

Niente di nuovo, Torino segue un modello ben collaudato: i quartieri si modellano alle opportunità di profitto e alle presunte esigenze di attrarre capitali privati, all’esclusione degli scomodi e alla normalizzazione di ciò che resta nella zona grigia dei non necessari ma comunque utili.

Ogni quartiere, poi, seguirà la sua declinazione più comoda: ora attraente e chic, ora folkloristico e multietnico, o ancora creativo e trendy. Decoro, vivibilità (per ricchi e turisti) e comfort per i sempre più asettici centri città. Repressione e sicurezza per le zone popolari più centrali. Infine, abbandono, desertificazione culturale e sociale, costruzione di grandi centri commerciali e supermercati per i quartieri dormitorio.

Un gran numero di piccoli cambiamenti avviene ogni giorno in questo senso. Il modello di città vetrina per investitori e turisti, non più luogo da vivere per gli abitanti, sembra non trovare ostacoli ma solo sponsor, e spaesati i critici si domandano con sconforto come arginare quello che sembra un fiume in piena.

Qualche giocatore spavaldo ha deciso quindi di spazzar via ogni ostacolo dalla scacchiera con una mossa eclatante. La questione territoriale è emersa violentemente per un episodio specifico, ma non è cosa nuova.

Ciò che c’è di nuovo è la risposta che l’operazione militare di sgombero dell’Asilo ha sollevato, e dimostra che si può essere bastoni tra le ruote: scacco al Re. 

Il passo successivo è far sì che i fili che muovono i cambiamenti delle città in cui viviamo siano smascherati e contrastati ogni giorno, e non solo in situazioni emergenziali.

Se questo modello è spinto da qualcuno e ben accetto da molti, tanti ne rimangono vittima, ed altrettanti non riescono proprio a digerirlo.

Certe cose ci muovono passioni che non si trovano raccontate nei trafiletti laterali dei giornali, e che non ci si rende conto siano tali fino a quando non si provano. Sono la gioia delle urla di un mercato abusivo, dei legami vivi e solidali che resistono in alcuni pezzi di città, dei negozietti che danno gli avanzi della giornata a chi li chiede, dei ragazzetti dei giardini che odiano la polizia, di quel bar che trovi sempre aperto ed a cui non è mai venuto in mente di fare un’apericena, della possibilità di tenersi o prendersi una casa quando se ne ha bisogno, di una cena alla portata di tutti, di incontrarsi con i compagni mentre si torna a casa, di sudare ai concerti, di mandare via i fascisti ed i politici quando vengono a strumentalizzare i nostri problemi, ed anche, all’occorrenza, di fare 3 cortei in 4 giorni, di difendersi dalla violenza della polizia, e di stare bene insieme anche senza riconoscersi, sapendo che quelle passioni bruciano forte anche nelle persone a fianco a te, perché all’Asilo ed in strada, in questi giorni, c’eravamo tutti e tutte.

Edera Squat – 14/02/2019