Hell on Wheels – Cineskate

A partire dal 24 maggio cinerassegna sullo skate e il suo mondo. Proiezioni h21

Porta qualcosa da sorseggiare sul divano!

 

24 maggio: LORDS OF DOGTOWN

Film di Stacy Peralta, skateboarder e autore del documentario Dogtown and Z-Boys.
Traendo spunto da una storia vera, il film parla di un gruppo di amici che negli anni settanta rivoluzionò il mondo dello skateboard, tutti originari di Venice Beach (California) diventato luogo di culto per la scena skate. Questo gruppo di adolescenti passa le giornate divertendosi con le tavole da skate, con le quali riescono ad effettuare spettacolari acrobazie nelle piscine dei ricchi di Beverly Hills, svuotate dalla siccità del 1975. Quei ragazzi sono oggi delle vere e proprie icone dello skateboard, come Stacy Peralta, Tony Alva e Jay Adams.

 

31maggio: THIS AIN’T CALIFORNIA

Questa è Berlino Est, non la California. Mette le cose in chiaro, a partire dal titolo, Martin Persiel, direttore del film-documentario “This ain’t California”.
Un viaggio nel mondo degli skaters nella Germania dell’Est che è anche il racconto di formazione di tre teenagers e del loro incondizionato amore per uno sport la cui pratica, nella Repubblica Democratica tedesca, era pericolosa e carica di una ribellione al tempo stesso ludica e vitale, punk e trasgressiva. Attraverso la storia dei tre giovani, seguiti dall’infanzia negli anni ’70 all’adolescenza rabbiosa negli anni ’80, infatti, Persiel analizza i movimenti sovversivi presenti nella Repubblica Democratica Tedesca, in particolare quelli legati al divertimento e proibiti dal regime.

 

7 giugno: KEN PARK

2002, di Larry Clark e di Edward Lachman.
Una cittadina di provincia americana che insieme al sesso e allo skateboard, fa da scenario comune a cinque storie di cinque adolescenti. Una mattina il giovane Ken Park (vero nome di uno skater professionista degli anni ottanta) si reca a bordo della sua tavola da skate nello skatepark cittadino. Una volta sedutosi, il ragazzo estrae dallo zaino una telecamera, puntando l’obiettivo verso il suo viso. Mentre registra la scena, Ken estrae dallo zaino una pistola, con la quale, mentre sorride, si suicida sparandosi alla tempia. La sua morte viene utilizzata per impostare il resto del film, che segue le vicende di quattro altri ragazzi con cui Ken era solito uscire: Shawn, Claude, Peaches e Tate.

 

14 giugno: PARANOID PARK

Film del 2007, diretto da Gus Van Sant, tratto dall’omonimo romanzo di Blake Nelson
Alex è un sedicenne che vive a Portland, Stati Uniti. La sua passione è lo skateboard e tutta la cultura che lo circonda. Con l’amico Jared inizia a frequentare Paranoid Park, luogo malfamato della città in cui si confrontano i migliori skaters del posto. Qui conosce altri skater che gli propongono nuove emozioni, come saltare sui treni merci in transito nella vicina stazione. Per una brutta coincidenza, una mossa avventata di Alex fa cadere tra i binari una guardia accorsa per sistemare i due sprovveduti. La guardia cade e viene investita da un treno in transito, e questo incidente apre l’incubo del protagonista. Per liberarsi da questo peso viene consigliato ad Alex di scrivere quello che è successo in una lettera da indirizzare a un amico. Alex scrive i fatti ed è seguendo la sua scrittura che lo spettatore viene pian piano a conoscenza degli avvenimenti.

Mese antipsichiatrico, Tutti Pazze!

Featured

Appuntamento anche all’Edera Squat all’interno del mese di informazione e attività antipsichiatriche.

Il 24 marzo 2018, partendo dalle proiezioni di “Corto Shock” e “No Loco”, e dai contributi dei collettivi Camuno (Camap) e Mastrogiovanni ci troveremo per analizzare, riflettere e discutere sulla psichiatria e sulle possibilità di azione antipsichiatrica, nella teoria e nella pratica di aiuto diretto.

Dalle h 20 cena Bellavita (porta quel che vorresti magna’ e beve, e prova il piacere di condividere non solo su Facebook)

A seguire proiezioni, esperienze, dibattito.

Per il programma completo del mese, consulta la locandina!

In Italia oggi si pensa di essersi lasciati alle spalle l’inferno dei manicomi, quei luoghi di tortura, esclusione e prigionia dove per anni sono stati segregati senza tetto, poveri, trasgressori di norme sociali e comportamentali, oppositori politici. La legge 180/1978 ha definitivamente chiuso questi luoghi, così come recentemente la legge n. 81/2014 ha fatto con gli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari), ma a distanza di 40 anni occorre riflettere se sia sufficiente chiudere un luogo fisico, senza intaccarne i presupposti, ossia il concetto stesso di “malattia mentale”,  e senza superare la pratica dell’internamento manicomiale. La legge 180 infatti, nonostante stabilisca che i ricoveri psichiatrici debbano essere volontari, prevede che si possa comunque ricorrere alla coercizione tramite il TSO (trattamento sanitario obbligatorio), che dovrebbe sulla carta essere un’eccezione ma che in realtà è estremamente diffuso e attuato il più delle volte illegalmente.

Ancora oggi la  psichiatria  ha quindi il potere di  giudicare arbitrariamente le persone, etichettandole come “malate” per un loro pensiero e comportamento,  drogarle senza la loro volontà, e imprigionarle all’interno di strutture più piccole, più confortevoli e pulite, capillarmente distribuite sul territorio e con esso più integrate (SPDC/servizi psichiatrici diagnosi e cura/repartini, CSM/centri di salute mentale, case famiglia, cliniche e comunità terapeutiche, REMS/residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). 

Il manicomio invece di essere chiuso si è diffuso, si è integrato con le altre strutture repressive territoriali, anche sulla spinta della moderna psicofarmacologia e degli interessi del privato sociale. Nei CPR/centri per il rimpatrio (ex CIE) gli psicofarmaci sono nascosti nel cibo, al fine di controllare chimicamente i reclusi per ragioni di sicurezza; nelle carceri vengono somministrati ansiolitici, sedativi e tranquillanti in maniera massiccia, e vengono aperti reparti di osservazione psichiatrica; nelle scuole vengono effettuati screening  e somministrati test per individuare preventivamente le “malattie” e indirizzare le famiglie verso una tempestiva “cura”.

Ma può esserci una possibilità di “cura”,di  riabilitazione e reinserimento sociale senza il consenso, la volontà e la libertà degli individui?  Chi oggi ha la sfortuna di incappare nelle reti della psichiatria, nella sua presa in carico vitalizia da parte del SSN, racconta di rapimenti in repartino, reclusioni prolungate in strutture residenziali, obbligo di cure  (su ricatto di un eventuale TSO), visite e somministrazioni forzate di psicofarmaci.

Così come avrebbe potuto fare Andrea Soldi, colpevole di non aver voluto sottoporsi alla mensile iniezione a lento rilascio (depot) di Haldol – un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali -, e di aver quindi preso una libera scelta su come volersi curare per stare meglio, e per questo brutalmente strangolato dalla squadra mobile dei vigili urbani il 5 agosto 2015 su una panchina di Piazzale Umbria, a cui si era aggrappato per sfuggire all’ennesima cattura e violenza farmacologica.

Parecchi testimoni hanno visto prendere e stringere per il collo l’uomo fino a farlo diventare cianotico, ammanettarlo e buttarlo privo di vita a testa in giù su una barella, la stessa con la quale è arrivato al pronto soccorso già morto, o comunque in grave scompenso cardiorespiratorio.

Il 27 settembre si è aperto il processo che vede imputati per omicidio colposo i 3 vigili (Stefano Delmonaco, Manuel Vair, Enri Botturi) autori della manovra contenitiva che ha di fatto soffocato l’uomo, e lo psichiatra (dott. Pier Carlo Della Porta) che ha disposto il TSO senza che ci fossero le necessarie condizioni previste dalla legge.

Quella di Andrea non è una storia di malasanità, un errore nell’attuazione di un provvedimento terapeutico, ma è la più tragica conseguenza di pratiche quotidianamente perpetrate dalla psichiatria. Non è neanche un caso isolato di morte per TSO, perché sono in tanti a perdere la vita durante la cattura e soprattutto a causa dell’indiscriminata e ponderosa somministrazione di psicofarmaci. La differenza è che nel caso di Andrea ci sono tanti testimoni, occhi e orecchie di persone che hanno assistito a ciò che mai avrebbero potuto immaginare, visto che la repressione psichiatrica avviene nella solitudine degli utenti, nel silenzio delle loro famiglie, all’interno di reparti chiusi e di luoghi isolati.