Proiezione de “Sulla mia pelle”

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Il 13 Settembre daremo spazio, nelle consuete iniziative del giovedì dell’Edera Squat, ad una proiezione che, prima ancora di essere cultura, racconta un evento di cronaca italiana recente ed ancora attuale. Infatti, intorno alla vicenda che ha portato alla morte di Stefano Cucchi si continuano a generare dibattiti e scontri, che, ripresi dalla macchina mediatica e portati all’attenzione del grande pubblico, l’hanno reso un caso simbolo degli abusi in divisa.

Non abbiamo ancora visto il film, che uscirà solamente il giorno prima della proiezione in Via Pianezza 115 (alle ore 21, nel cortile dell’Edera Squat, ingresso libero), ma crediamo che opere di questo genere debbano essere rese disponibili a più persone possibili, guardate con occhio critico, riservandosi la possibilità di aprire un dibattito a fine proiezione.

 

Mese antipsichiatrico, Tutti Pazze!

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Appuntamento anche all’Edera Squat all’interno del mese di informazione e attività antipsichiatriche.

Il 24 marzo 2018, partendo dalle proiezioni di “Corto Shock” e “No Loco”, e dai contributi dei collettivi Camuno (Camap) e Mastrogiovanni ci troveremo per analizzare, riflettere e discutere sulla psichiatria e sulle possibilità di azione antipsichiatrica, nella teoria e nella pratica di aiuto diretto.

Dalle h 20 cena Bellavita (porta quel che vorresti magna’ e beve, e prova il piacere di condividere non solo su Facebook)

A seguire proiezioni, esperienze, dibattito.

Per il programma completo del mese, consulta la locandina!

In Italia oggi si pensa di essersi lasciati alle spalle l’inferno dei manicomi, quei luoghi di tortura, esclusione e prigionia dove per anni sono stati segregati senza tetto, poveri, trasgressori di norme sociali e comportamentali, oppositori politici. La legge 180/1978 ha definitivamente chiuso questi luoghi, così come recentemente la legge n. 81/2014 ha fatto con gli OPG (Ospedali psichiatrici giudiziari), ma a distanza di 40 anni occorre riflettere se sia sufficiente chiudere un luogo fisico, senza intaccarne i presupposti, ossia il concetto stesso di “malattia mentale”,  e senza superare la pratica dell’internamento manicomiale. La legge 180 infatti, nonostante stabilisca che i ricoveri psichiatrici debbano essere volontari, prevede che si possa comunque ricorrere alla coercizione tramite il TSO (trattamento sanitario obbligatorio), che dovrebbe sulla carta essere un’eccezione ma che in realtà è estremamente diffuso e attuato il più delle volte illegalmente.

Ancora oggi la  psichiatria  ha quindi il potere di  giudicare arbitrariamente le persone, etichettandole come “malate” per un loro pensiero e comportamento,  drogarle senza la loro volontà, e imprigionarle all’interno di strutture più piccole, più confortevoli e pulite, capillarmente distribuite sul territorio e con esso più integrate (SPDC/servizi psichiatrici diagnosi e cura/repartini, CSM/centri di salute mentale, case famiglia, cliniche e comunità terapeutiche, REMS/residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza). 

Il manicomio invece di essere chiuso si è diffuso, si è integrato con le altre strutture repressive territoriali, anche sulla spinta della moderna psicofarmacologia e degli interessi del privato sociale. Nei CPR/centri per il rimpatrio (ex CIE) gli psicofarmaci sono nascosti nel cibo, al fine di controllare chimicamente i reclusi per ragioni di sicurezza; nelle carceri vengono somministrati ansiolitici, sedativi e tranquillanti in maniera massiccia, e vengono aperti reparti di osservazione psichiatrica; nelle scuole vengono effettuati screening  e somministrati test per individuare preventivamente le “malattie” e indirizzare le famiglie verso una tempestiva “cura”.

Ma può esserci una possibilità di “cura”,di  riabilitazione e reinserimento sociale senza il consenso, la volontà e la libertà degli individui?  Chi oggi ha la sfortuna di incappare nelle reti della psichiatria, nella sua presa in carico vitalizia da parte del SSN, racconta di rapimenti in repartino, reclusioni prolungate in strutture residenziali, obbligo di cure  (su ricatto di un eventuale TSO), visite e somministrazioni forzate di psicofarmaci.

Così come avrebbe potuto fare Andrea Soldi, colpevole di non aver voluto sottoporsi alla mensile iniezione a lento rilascio (depot) di Haldol – un potente e dannoso neurolettico, che provoca dipendenza e gravi effetti collaterali -, e di aver quindi preso una libera scelta su come volersi curare per stare meglio, e per questo brutalmente strangolato dalla squadra mobile dei vigili urbani il 5 agosto 2015 su una panchina di Piazzale Umbria, a cui si era aggrappato per sfuggire all’ennesima cattura e violenza farmacologica.

Parecchi testimoni hanno visto prendere e stringere per il collo l’uomo fino a farlo diventare cianotico, ammanettarlo e buttarlo privo di vita a testa in giù su una barella, la stessa con la quale è arrivato al pronto soccorso già morto, o comunque in grave scompenso cardiorespiratorio.

Il 27 settembre si è aperto il processo che vede imputati per omicidio colposo i 3 vigili (Stefano Delmonaco, Manuel Vair, Enri Botturi) autori della manovra contenitiva che ha di fatto soffocato l’uomo, e lo psichiatra (dott. Pier Carlo Della Porta) che ha disposto il TSO senza che ci fossero le necessarie condizioni previste dalla legge.

Quella di Andrea non è una storia di malasanità, un errore nell’attuazione di un provvedimento terapeutico, ma è la più tragica conseguenza di pratiche quotidianamente perpetrate dalla psichiatria. Non è neanche un caso isolato di morte per TSO, perché sono in tanti a perdere la vita durante la cattura e soprattutto a causa dell’indiscriminata e ponderosa somministrazione di psicofarmaci. La differenza è che nel caso di Andrea ci sono tanti testimoni, occhi e orecchie di persone che hanno assistito a ciò che mai avrebbero potuto immaginare, visto che la repressione psichiatrica avviene nella solitudine degli utenti, nel silenzio delle loro famiglie, all’interno di reparti chiusi e di luoghi isolati.